Opera: Sepolcro degli Stuart, 1817-1819.
Scultore: Antonio Canova (1757-1822).
In memoria: di Giacomo III e dei figli Carlo Edoardo ed Enrico cardinale.
Luogo: Basilica di San Pietro, Città del Vaticano.
I grandiosi complessi sepolcrali, su cui si fonda in non esigua parte la reputazione di Antonio Canova, quale massimo scultore del Neoclassicismo europeo, appartengono al periodo centrale della carriera dell'artista. Fa eccezione il Sepolcro degli Stuart, dedicato a Giacomo III ed ai figli Carlo Edoardo ed Enrico, cardinale, morti in Italia. Sorprende che oggi questo monumento non sia molto apprezzato, ed è criticato per la mancanza di fantasia che l'artista ebbe nei monumenti funerari tardi.
In San Pietro ebbe un posto infelice, tra due pilastri, a sinistra di chi entra, ma il Canova seppe trarre il massimo da quello spazio ingrato. Nel rilievo di una piramide, sopra stanno allineati i ritratti dei tre defunti. Una porta in basso conduce al sepolcro, alla quale fanno la guardia i due Geni della Morte scolpiti a mezzo rilievo. Canova si è accontentato di evocare un simbolo convenzionale della casa della morte tratto dalle urne cinerarie etrusche, trasformando tali modelli in immagini squisitamente moderne. Raffigura due figure androgine di eterea bellezza, dalle dolci silhouettes e dai delicati profili da cammeo acconciati alla moda quattrocentesca, in affinità con quanto avevano imposto i Nazareni. Sembrano create senza sforzo, nella loro posa, nella solennità delle ali trepidanti, nella linearità delle fiaccole capovolte, nel panneggio scanalato e fluente ai piedi. Hanno teste dai lineamenti apollinei, tristemente reclinate e poggianti sulla mano, che ispirano una così divina malinconia da far pensare ad angeli in terra d'esilio. Sulla massa soffice della capigliatura femminea e fluente, la pressione dei nastri scava un morbido solco all'altezza della fronte.
I due angeli che nel bozzetto affiancano la stele indebolendone l'autonomia, nella realizzazione definitiva sono stati inseriti nel perimetro del monumento, confermandone l'unità organica. Questi angeli piangenti sono la forza e la vitalità dell'opera, ed in loro il Canova rinnova l'ardore e la potenza d'ispirazione dei momenti più felici della sua arte. Le due figure sono un miracolo di simmetria, ma molte sottili trasgressioni impediscono a quella simmetria di divenire sterile. Le lievi differenze nella posizione dei gomiti, negli incavi delle grandi ali e nella ponderazione dell'anca, contribuiscono a conferire vitalità a questi angeli, inseriti in un contesto di solenne astrazione. Ma è soprattutto nell'anatomia delle figure, splendidamente modellate, che si riscontrano le qualità plastiche del Canova, in quella «morbidezza con cui è condotto il nudo, che, mentre conserva uno stile largo e copioso, fa risaltare maestrevolmente le minime gradazioni» come ben vide il Perticari. Un complesso plastico omogeneo che incanta per levità di contorni, piani staccati, ombre tenui sulla distesa dello sfondo chiaro. Le grazie delle membra adolescenti, per quanto siano motivi di derivazione pagana, esprimono nel loro angelico atteggiamento la rassegnazione della fede cristiana di fronte al mistero della morte. Un sogno di giovinezza che Canova depone alla soglia di una tomba perché la morte sia trasfigurata dall'eterna bellezza dell'arte. Tutta l'opera è pervasa da una patina di un giallo caldissimo che accresce tenerezza alle forme e dà soavità a tutta l'opera.
Si gridò allo scandalo e le due figure angeliche si trovarono al centro di polemiche perché il monumento non era abbastanza classico. Il Vaticano trovò esse immorali, e Canova fu invitato a coprire le nudità ritenute sconvenienti al luogo sacro; ma rifiutò deciso. Non appena egli morì Papa Leone XII riuscì nell'intento, ma le coperture di gesso, rimaste fino al pontificato di Leone XIII, furono a loro volta giudicate «profanazioneW nonché «artisti vili e mercenari» coloro che le eseguirono. Per lo Stendhal, che fu un severo critico d'arte, i due Geni funebri erano i più amabili capolavori canoviani, giudicandoli come una delle maggiori opere d'arte europee. Pur dichiarandosi incapace di descrivere la loro bellezza, affermò di aver passato ore davanti a loro, restando in estatica ammirazione, talvolta fino all'orario di chiusura. «Di fronte c'è una panca sulla quale ho trascorso le ore più dolci del mio soggiorno a Roma. Soprattutto nell'approssimarsi della notte, la bellezza di questi angeli appare celestiale. Giungendo a Roma bisogna venire presso la tomba degli Stuart per provare se si abbia per caso un cuore fatto per comprendere la scultura».
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