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IRIS - IRIDE


Nome: Iris in Grecia, Iride a Roma.

Ruolo: Dea dell'arcobaleno e messaggera degli dei.

Genitori: Il titano Taumante e la ninfa oceanina Elettra, sorella delle Arpie Aello e Ocipete.

Mito: Dotata di piedi veloci e di grandi ali era una messaggera degli dei. La sua funzione era rappresentata dall'arcobaleno, di cui era la personificazione, il sentiero che percorreva andando dal cielo alla terra.

Leggende: E' la messaggera specialmente di Zeus nell'opera di Omero. Versioni successive ne fanno la messaggera di Era, sotto il cui trono dorme. La sua funzione trovava la più rituale applicazione nel recarsi, su incarico di Zeus, negli Inferi ad attingere acqua dallo Stige per i giuramenti degli dei. Era particolarmente addetta al servizio di Era, e spesso le veniva attribuito anche l'ufficio di saggia guida e consigliera. Si raccontava poi che Iride rubò un unguento ad Era e fuggì nascondendosi presso il letto di una puerpera, poi in un corteo funebre ed infine nel lago Acherusia negli Inferi, dove venne purificata dai Cabiri.
Frequenti le comparse della dea in veste di messaggera nei poemi epici. Nell'Eneide appare, incaricata da Era, quando aleggia sul capo della morente Didone e recidendole un capello con una formula rituale, pone fine all'agonia della regina abbandonata. Poi svolge ancora una missione per Era. Prese le sembianze dell'anziana Beroe, convince le donne troiane ad incendiare le navi della flotta di Enea per rimanere in Sicilia. Ancora viene inviata, sempre da Era, ad avvertire Turno che Enea si è allontanato dal campo per incontrare Evandro e che è, quindi, il momento più propizio per attaccare i Troiani. Nell'Iliade viene inviata a Troia per avvisare Priamo ed Ettore dell'attacco che i Greci stanno preparando. Iride esegue l'ordine assumendo le sembianze di Polite, figlio di Priamo, che spesso fungeva da vedetta, spiando il campo nemico.

Iconografia: Viene raffigurata alata, con calzari alati, con un manto scintillante di vari colori e le vesti smosse dal vento.

Immagine in alto: Gian Lorenzo Bernini, Apollo e Dafne, 1622-1625.


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